Disuguaglianze globali

Cosa possiamo dire a proposito dell’impatto della pandemia sulla distribuzione del reddito globale? Siamo totalmente al buio: gran parte di ciò che si può dire oggi probabilmente verrà smentito domani.

Quanto è probabile che la crisi riduca il reddito globale? Se osserviamo i tassi di crescita pro capite reali globali dal 1952 al 2018, il PIL mondiale pro capite è diminuito solo quattro volte: nel 1954, nel 1982, nel 1991 e, più recentemente, nel 2009 come conseguenza della crisi finanziaria globale.

Vediamo le differenze tra il calcolo del reddito pro capite reale convenzionale, detto: plutocratico; e quello: democratico, o “delle persone”.

Pongo la seguente domanda: «Se il PIL pro capite dell’India, della Cina e di altri paesi popolosi aumenterà rapidamente, sempre più persone si sentiranno meglio che se aumentassero i PIL pro capite di alcuni paesi ricchi, ma piccoli?!».

In un calcolo plutocratico, l’aumento di entrambi verrebbe valutato allo stesso modo.

Nel calcolo democratico, l’aumento in Cina conta molto di più perché molte più persone avvertiranno un miglioramento. La misura democratica, dunque, pesa i tassi di crescita dei paesi con le loro popolazioni.

Cosa possiamo dire riguardo la probabile evoluzione delle due misure nel 2020? L’FMI, che calcola solo la prima misura: quella plutocratica, ha recentemente stimato che il PIL mondiale si ridurrebbe almeno di quanto si ridusse durante la crisi finanziaria globale. È improbabile che la seconda misura, quella democratica, sia negativa poiché la Cina è in via di guarigione e, come abbiamo visto, sono i Paesi popolosi a determinare in gran parte ciò che accade a quella misura.

Se il declino economico fosse più grave, come sembra ora, negli Stati Uniti ed in Europa, il divario tra i grandi Paesi asiatici ed il mondo ricco si ridurrebbe. Come dopo il 2008/2009, la riduzione della disuguaglianza globale sarà raggiunta non attraverso le forze “benigne” di crescita positiva, sia nelle economie ricche che in quelle emergenti dell’Asia, ma attraverso forze “maligne” di crescita negativa nei Paesi ricchi.

Ciò darebbe vita a due effetti: in primo luogo, geopoliticamente, il centro di gravità dell’attività economica continuerebbe a spostarsi verso l’Asia. In secondo luogo, il declino dei redditi reali delle popolazioni occidentali arriverebbe esattamente nel momento in cui le economie occidentali stavano uscendo dal periodo di austerità economica e bassa crescita e ci si potrebbe aspettare che la mancanza di crescita della classe media che ha caratterizzato questi Paesi dopo la crisi finanziaria, giungerebbe, di conseguenza, alla fine.

I lavoratori con basso salario e più vulnerabili, perderanno di più di tutti e continuerà la stagnazione dei redditi della classe media. La crisi del coronavirus potrebbe quindi rappresentare un secondo drammatico shock per le “ricche regioni” negli ultimi 15 anni.

Possiamo aspettarci, in alcune aree, “un’inversione sulla globalizzazione”. Nel periodo relativamente breve, da uno a due anni, anche in uno scenario ottimistico riguardo la gestione della pandemia, la circolazione delle persone e possibilmente delle merci sarà molto più controllata rispetto a prima della crisi. Aleggerà una paura, non irragionevole, per cui dipendere interamente dalla “gentilezza degli stranieri” nelle condizioni di emergenza nazionale, non sia necessariamente la migliore politica. Ciò minerà la globalizzazione.

Tuttavia, non dovremmo sopravvalutare troppo questi ostacoli al commercio e alla circolazione del lavoro e dei capitali. Quando è in gioco il nostro interesse personale a breve termine, siamo molto veloci a dimenticare le lezioni della storia: quindi se passeranno diversi anni senza alcuna nuova turbolenza, penso che probabilmente torneremo alle forme di globalizzazione che abbiamo vissuto prima della crisi del coronavirus.

Ciò che tuttavia potrebbe non tornare al livello precedente alla crisi, è il potere economico di diversi Paesi e l’avversione politica di modi liberali verso quelli più autoritari nel gestire le società. Le crisi acute come questa, tendono ad incoraggiare la centralizzazione del potere perché questo è spesso l’unico modo in cui le società possono sopravvivere.

Diventerà quindi difficile non cedere il potere a coloro che lo hanno accumulato durante la crisi. Questi attori potranno affermare in modo credibile che è stato evitato il peggio grazie alla loro abilità o saggezza. Quindi la politica rimarrà turbolenta.

Branko Milanovic

Economista, Central University of New York

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