Tre missioni per l’Università, società, futuro e cultura

Oggi l’istituzione accademica ha un’enorme occasione nel momento in cui essa si inserisce fecondamente nel territorio e si apre ad esso, al contesto umano e sociale in cui è calata. Una comunità nella quale, in qualità di cittadini, sentiamo il dovere di partecipare con senso di responsabilità favorendo un vivere insieme che sia ragionevole antidoto allo scadimento nel pregiudizio, nella volgarità, nella contrapposizione sterile. Il termine «missione», d’altra parte, rimanda al desiderio di uscire da sé e di percorrere le tortuose vie dell’oggi per diffondere idee, sensibilità, approcci inediti soprattutto davanti alle forti innovazioni sociali, etiche e materiali che sfidano anche il mondo della conoscenza. E permettetemi di notare che si tratta di un termine («missione») che appartiene profondamente alla vita della Chiesa e ne qualifica anzi la sua più profonda ragion d’essere. Certo l’obiettivo è diverso, eppure si può riscontrare la medesima tensione a stare dentro il proprio tempo per cogliere la straordinaria ricchezza di quello che accade e cercare di orientarlo verso il bene, anche in mezzo alle negatività che pure ciascun’epoca contiene. La crisi del modello tradizionale di università, la sua difficoltà nel rispondere alle forti trasformazioni sociali e culturali in atto, non trova la Chiesa indifferente o distratta. La Conferenza Episcopale Italiana e la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane hanno tentato di dare una risposta firmando congiuntamente, il 15 maggio di quest’anno, un «Manifesto per l’Università» articolato in nove punti che hanno l’aspirazione di valorizzare in particolar modo una ricerca e una didattica attente alla persona e alla comunità. In questa prospettiva il Manifesto delinea con chiarezza l’idea di università che concorra in modo armonico allo sviluppo della persona e del Paese. Quella che sta di fronte a noi è un’occasione propizia per infrangere nel modo più deciso il mito di un sapere accademico celato in una torre d’avorio che procede parallela alla città e al mondo con scambievoli manifestazioni di stima, ma con nulla o poco di fatto per quanto riguarda la messa in comune delle rispettive potenzialità. L’intento sotteso al Manifesto, al contrario, è proprio quello di pensare ai mutati assetti dell’università come a spazi nei quali si progetta una nuova cultura, finalizzata a dare all’attuale e alle future generazioni strumenti idonei a interpretare e gestire con senso di responsabilità problemi sociali, economici, ambientali, etici sempre più complessi, tanto affascinanti quanto drammatici. Si pensi all’innovazione tecnologica e alla sua diseguale diffusione, all’educazione permanente, alla sostenibilità dell’economia, all’etica del mercato, ai diritti dell’umanità del futuro, soltanto per fare qualche esempio tra i molti possibili. Sono tutti aspetti che sollecitano la cultura oltre che la Chiesa e invitano a fare sistema per sviluppare servizi e strutture calibrati alle necessità integrali della persona. Oggi la nostra epoca sta vivendo una fortissima transizione culturale, che si può esprimere anche come uno scontro frontale tra due logiche. La prima ha come orizzonte un modello tecnicista dello sviluppo e del lavoro, visti solo nell’ottica quantitativa dell’avere, dell’accumulazione, della produzione. La seconda è quella che accende nuovi desideri e bisogni nel cuore dell’uomo, respira con le nuove esigenze umane e sociali prodotte dalle migliorate condizioni di vita. Di fronte al compito che oggi è proposto al sistema universitario, allora, non ci deve essere spazio per lo sconforto, il disimpegno, la sorpresa, o addirittura la fuga, ma per quel sano realismo, supportato dalla competenza e dalla passione, che anima tutti coloro, istituzioni accademiche ed ecclesiali, che non si rifiutano oggi di usare gli strumenti di cui dispongono e, direi, il proprio secolare patrimonio di esperienza, per seminare menti nuove e cuori nuovi sulla terra.

dalla relazione di mons. Stefano RUSSO, Segretario generale della Cei

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