«Scorz’», la casetta di cartone per chi dorme all’addiaccio

«Scorz’»: questa non è la soluzione al problema, questo è un rifugio temporaneo.
Da una tesi a Napoli nasce una casetta di cartone per proteggere durante la notte i senzatetto: è il progetto «Napoli 2035». L’idea è venuta nel 2017 a Giuseppe d’Alessandro, vedendo dei poveri accampati nella metro di Parigi. Trasforma la propria tesi magistrale in «Design for the Built Environment» all’Università di Napoli in qualcosa di concreto e fonda con altri 4 giovani il progetto no profit “Napoli 2035”. Lo scopo è aiutare i senza fissa dimora e le associazioni che con loro hanno a che fare affinché nessuno in città sia costretto più a dormire all’addiaccio. «Scorz’» in pratica è una casetta in cartone riciclato ispirata agli origami cinesi che protegge dal freddo e dagli sguardi dei passanti. Estremamente economica, ecologica, leggera, facile da trasportare e da montare.

«Negli ultimi anni sono stati progettati arredi stradali ‘ostili’, per impedire l’accampamento di senzatetto», constatano i membri di «Napoli 2035», «panchine strette con tubi che non permettono di sdraiarsi sopra, marciapiedi appuntiti e così via. ‘Scorz’’ al contrario vuole essere ospitale».

È chiaro però che una casetta di cartone non può essere una soluzione definitiva e non vuole proprio esserlo: c’è scritto anche su ciascuna casetta. Il pensiero degli ideatori è esplicito in merito: «Il cartone non dura a lungo, in questo modo i senzatatetto non si possono abituare ad esso: non deve essere una casa permanente, ma speriamo che possa essere una piccola spinta per cercare una sistemazione migliore».
Scorz’ intanto viene distribuito da volontari a Napoli, finora in qualche decina di esemplari con l’obiettivo di aumentare la produzione e allargare la rete. Come autofinanziamento è inoltre venduto come riparo durante concerti all’aperto e come casetta per giocare con i bambini. La produzione avviene grazie al supporto di «Formaperta» , un’azienda campana che ha messo a disposizione cartone e macchinari.

Simone GARBERO

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