Quei funghi che mangiano la plastica
Tutti sanno che la plastica è un derivato petrolchimico, ma forse non a tutti è chiaro che, insieme ad altri prodotti derivati del petrolio contenuti in vestiti, saponi e pesticidi, contribuisce in maniera considerevole al cambiamento biochimico dell’ambiente con gravi conseguenze per gli ecosistemi. Problema che potrebbe essere affrontato grazie agli studi della Mycotheca Universitatis Taurinensis del Dipartimento di Scienze della vita e Biologia dei Sistemi, in collaborazione con il Dipartimento di Chimica. Le cause principali degli effetti inquinanti della plastica sono principalmente due: la stragrande maggioranza delle materie plastiche sono per loro natura liposolubili, non biodegradabili, e si accumulano nel tessuto adiposo di animali 4ed esseri umani. La seconda causa è la cattiva abitudine di abbandonare i rifiuti plastici in mare, nelle spiagge, nelle strade e nelle zone rurali.
Già dalla metà degli anni ’70 si era visto che l’inquinamento da plastica alterava il sistema riproduttivo e ormonale di gabbiani, visoni e alligatori. Sono stati anche individuati nelle acque australiane strani pesci ermafroditi.
La plastica riscaldata inoltre rilascia sostanze che contaminano i tessuti umani danneggiando la nostra salute più di quanto non si pensi. Inquinamento ambientale e riscaldamento globale: un problema urgente da combattere. Ma come? Ponendo fine all’abbandono dei rifiuti, smaltendoli in modo corretto e facendo in modo che vengano recuperati, sostituire la produzione di plastica di derivazione petrolchimica con la plastica biodegradabile ricordando che, perché l’attività di biodegradazione avvenga, questa deve essere smaltita correttamente in apposite strutture.
Una terza strategia arriva appunto dall’Università di Torino che ha studiato un metodo totalmente biologico per aggredire l’inquinamento da plastica isolando e identificando i diversi tipi di funghi che si generano sulle plastiche presenti in discarica. Questi funghi sono stati nutriti unicamente con il polietilene (una termoplastica diffusissima nelle nostre società) ed è stato osservato che essi hanno spiccate capacità di degradazione nei confronti del polietilene stesso. Per semplificare si può dire che sono funghi che mangiano la plastica, sia quella tradizionale che quella biodegradabile. I nomi dei funghi più efficaci per questo processo sono
il Fusarium oxysporum e il Purpureocillium lilacinum e rappresentano una straordinaria risorsa per il futuro del risanamento ambientale.
Giuliana DONORA’