FILOSOFIA, SCIENZA INUTILE?

Scagli la prima pietra lo studente iscritto al corso di laurea in filosofia che non si sia mai sentito chiedere da amici e parenti: «ma, in fondo, a cosa serve studiare filosofia?». È evidente che chi pone questa domanda possiede già una risposta: «non serve a niente, è una perdita di tempo, tutt’al più un gioco per snob». Di norma, dopo essere rimasto alcune volte muto o quasi – tra il perplesso e l’infastidito – lo studente universitario di filosofia decide di preparare una risposta da tenere in caldo per la prossima volta in cui sarà interpellato sulle ragioni del proprio studio. Nella quasi totalità dei casi, lo studente sceglierà il celeberrimo passo del libro A della Metafisica di Aristotele, in cui si afferma che noi non esercitiamo la filosofia «per nessun vantaggio che sia estraneo ad essa; e, anzi, è evidente che, come diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: essa sola, infatti, è fine a se stessa» (982b- 983a). Dunque, seguendo Aristotele, risponderà con fierezza all’«insipiente interlocutore » (per richiamare la bella immagine che Sant’Anselmo descrive nel Proslogion) che la filosofia, a differenza delle altre discipline, ha valore in sé proprio in quanto non è subordinata a nessun’altra.

Dunque, strettamente parlando, la filosofia non serve a niente. Un momento: Aristotele e l’interlocutore (a questo punto insipientissimus) raggiungono la stessa conclusione? Ma Aristotele non dovrebbe difendere la categoria dei filosofi ? Sempre più confuso, lo studente, sconfitto sul piano dell’argomentazione, arretra allora sulla difesa della filosofia come patrimonio culturale da salvaguardare, come se i filosofi fossero una specie in via di estinzione. Ma è evidentemente una strategia di ripiego: studiare filosofia oggi, almeno secondo questa visione, sarebbe un po’ come iscriversi al Wwf del pensiero. Tuttavia, una volta tornato con la coda fra le gambe al proprio lavoro quotidiano – secondo la definizione di Deleuze – di «artigiano di concetti », lo studente riflette, analizza, scompone. E finalmente si accorge che l’errore che lo ha messo in scacco deriva da un uso ambiguo del verbo «servire», che può significare al   tempo stesso «essere asservito a» ed «essere utile per».

Ora, è chiaro che Aristotele fa riferimento al primo significato,  mentre l’insipiente (e ormai decisamente molesto) interlocutore al secondo. Se dunque la filosofia «non dipende» da nessun’altra disciplina, non ne è l’ancilla (con buona pace di San Tommaso), ciò non significa che «non sia utile» nella nostra vita quotidiana. Utile per che cosa? Per cambiare il nostro sguardo. Sì, perché prima ancora di speculare sulle grandi questioni che ci attanagliano da almeno duemilacinquecento anni – la natura delle nostre idee, l’essenza della natura, l’esistenza di Dio, la natura umana, e molte altre – la filosofia è un atteggiamento, una postura che possiamo assumere a un certo punto della nostra vita nell’osservare noi stessi e l’ambiente in cui viviamo. In breve, la filosofia non ci fa vedere cose nuove, astratte, lontane dal quotidiano – quest’immagine della filosofia, a cui molti filosofi  hanno spesso contribuito, è una delle cause del luogo comune sulla sua inutilità; al contrario, la filosofia ci permette di vedere con occhi nuovi la realtà in tutta la sua estrema complessità, senza cadere in facili riduzionismi o pericolose ideologie.

claudio tarditi

La filosofia non è una fuga dal mondo, ma è uno sguardo critico e trasversale sul nostro rapporto col mondo e con i nostri simili. Cerca di mostrarci le cose come sono, senza imporre loro categorie precostituite. In questo senso, forse è la filosofia a permettere la meraviglia, non viceversa – come sostiene Aristotele. Non essendo subordinata a un ambito particolare del reale, è l’unica disciplina a potersi porre come «discorso sui discorsi», cioè come analisi dei presupposti, delle condizioni di possibilità e dei limiti di validità di ogni altro discorso. Beninteso, ciò non significa che la filosofia possa oggi considerarsi mater scientiarum, fondamento di ogni altra scienza e radice del grande albero della conoscenza. Questa visione classica, com’è noto, si è progressivamente consumata nel corso della modernità rendendo visibili le falle interne di ogni idea di fondazione assoluta.

Al contrario, se oggi la filosofia non si confronta con i risultati e i modelli sempre più raffi nati delle scienze empiriche (dalla fisica alla sociologia, dalla biologia alle neuroscienze, dalla psicanalisi alle scienze cognitive) rischia di ripiegarsi su se stessa, perdendo ogni utilità. D’altro canto, in forza della sua stessa natura, essa può porsi come sguardo privilegiato su fenomeni in cui siamo immersi ma la cui portata ci è ancora largamente oscura: dall’infosfera ai big data, dalle violenze di genere ai modelli di cooperazione. Se, da filosofi , riusciremo a offrire alla collettività uno sguardo e un discorso alternativi a quello comune, spesso controllato da interessi di vario genere, potremo forse sperare di non finire, come Talete, nel gran pozzo dell’oblio.

Claudio TARDITI
Dipartimento di Filosofi a e Scienze dell’Educazione, Università di Torino

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