Libri: Il tempo della complessità

Una lunga intervista di Walter Mariotti a Mauro Ceruti, Il tempo della complessità, Cortina, Milano 2018,  ci allena alla conoscenza e all’uso della nozione di complessità. Si parte apparentemente da lontano, da questioni di storia e di politica, per approdare al tema propriamente epistemologico, per arrivare infine a questioni educative e etico-culturali.

Si inizia con l’elencare le tre globalizzazioni che hanno caratterizzato la storia dell’umanità: la colonizzazione del pianeta da parte di Homo sapiens; la rivoluzione agricola di 12.000 anni fa; la ‘scoperta’ del Nuovo Mondo e l’avvio dell’unificazione del mondo. La quarta è quella di oggi: è una nuova fase di globalizzazione, dalle dinamiche e dagli esiti imprevedibili.

In questo amplissimo quadro storico e antropologico è posta la storia ambigua dell’Europa moderna, caratterizzata da una pluralità di culture in ogni campo e sottoposta a un regime di progressiva e intensiva unificazione. Il conflitto non è scomparso, ha  semplicemente mutato pelle. Nei rapporti da instaurare non basta la tolleranza, occorre l’incontro positivo con l’alterità.

Il punto di partenza per la ricognizione della nozione di complessità è il modo di configurazione del sapere moderno. «Lo spazio cognitivo della modernità si propone come unitario: tutti i saperi dovrebbero accedere, almeno in linea di principio, allo stesso metodo e allo stesso punto di vista …» (91). Entro questo quadro unitario l’ideale regolativo divenne l’onniscienza. Il compito è stato quello di «filtrare l’infinito nel finito, ridurre l’eterogeneo all’omogeneo …» (93).

Con questo impianto e con i suoi indiscutibili risultati si misura in modo alternativo il pensiero della complessità. La visione della scienza classica non esaurisce la visione scientifica del mondo: «Il caso, la contingenza, la singolarità, la località, la temporalità, il disordine non sono affatto indicatori del carattere provvisorio e limitato delle nostre teorie» (97-98).

Il tempo della complessità

Il tempo della complessità

In tempi recenti si è stabilito una nuova configurazione tra scienza e tecnica. Con le tecnologie sappiamo ciò che sappiamo anche in modo diverso e muta pure il senso di ciò che sappiamo. Non solo: la tecnologia definisce o contribuisce a definire il senso della vita e dell’identità umana. A questo punto è decisivo, e non solo aggiuntivo, il contributo dell’etica.

Tutto ciò incide sulla stessa immagine che ci facciamo di scienza. Essa non è più pensabile come un edificio dei saperi e come sviluppo cumulativo delle conoscenze. L’insieme dei saperi diventa anch’esso esplorativo. «L’enciclopedia è una ricognizione di percorsi e non già una sistemazione di risultati. … Abbiamo bisogno di mappe cognitive flessibili, che possano essere ampliate, messe in discussione, ristrutturate» (136).

Le ultime due conversazioni si occupano di forme educative che corrispondano al paradigma della complessità. Tale educazione e i progetti connessi debbono avere una struttura duale, capace di coniugare nella ricerca tempi brevi e tempi lunghi, efficienza e ridondanza. Solo grazie a questi processi l’umanità intera può incominciare a riconoscersi come una comunità di destino, incompiuta e generativa. S’apre un’unica e drammatica alternativa: o comunità di destino o autoannientamento.

 

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