UNIVERSITA’ IN CARCERE, LA RIEDUCAZIONE SUI LIBRI

C’è un impegno poco conosciuto dell’Università di Torino: quello teso a garantire il diritto allo studio universitario a persone che si trovano in carcere o in privative della libertà. In cosa consiste e come si è andato strutturando nel tempo?

Formazione Polo Universitario

A metà degli anni ’80 a Torino erano detenuti membri di formazioni armate, come Prima Linea o le Brigate Rosse: alcuni di loro, volendo riprendere gli studi universitari interrotti in passato, ottennero di entrare in contatto con docenti universitari. Ne nacque l’impegno di alcuni di loro ad attivare seminari e ricerche su temi proposti dai detenuti stessi. In seguito, con la collaborazione della direzione del carcere, venne data ai detenuti l’opportunità di riprendere gli studi: questo percorso culminò con la firma di un Protocollo nel 1998.

Il 2018 è dunque l’anno di celebrazione del ventennale del «Polo Universitario per studenti detenuti». In questi vent’anni vi sono passati circa 150 studenti detenuti, dei quali almeno metà si è laureata. Altri hanno svolto solo un tratto del percorso di studi, interrompendolo per fine della pena o per trasferimenti in altre carceri. Alcuni lo hanno proseguito in altre università. Attualmente, nell’anno accademico 2017- 18, sono 39 gli studenti iscritti ai vari corsi di laurea gestiti dal Dipartimento di Culture, politica e società e da quello di Giurisprudenza. Di essi 28 sono in carcere, 11 in misure alternative con il vincolo di proseguire gli studi. Quale significato ha questo impegno per l’Università e per il detenuto che ne fruisce?

Franco Prina

Certamente per l’Università si tratta di adempiere a un dovere: garantire a tutti coloro che lo desiderano e ne hanno i requisiti il diritto allo studio. Dunque anche a chi si trova in condizioni particolari come i detenuti. In questo Torino è stata l’Università che ha aperto una strada in Italia, strada percorsa oggi da altre 24 università, impegnate in 50 istituti penitenziari, con oltre 600 studenti iscritti. Università che sono riunite nella Conferenza Nazionale dei Delegati per i Poli universitari penitenziari istituita presso la Crui (Conferenza dei Rettori delle Università italiane), che si propone di estendere il diritto allo studio dei detenuti in tutte le università italiane e di promuovere condizioni adeguate al suo perseguimento in tutte le istituzioni penitenziarie coinvolte.

Quanto ai detenuti, l’esperienza dello studio universitario può assumere diversi significati. Innanzitutto è l’esercizio di un diritto in base a un principio: la privazione della libertà disposta come sanzione, non può implicare la compressione di altri diritti. Pensiamo al diritto alla salute, alle relazioni affettive, al lavoro e dunque anche allo studio, diritti che troppe volte, in carcere, sono negati e che è giusto rivendicare.

Simone Vacca D’Avino

Ma al fianco di questo significato ne troviamo almeno altri due, forse più importanti, che emergono nel dialogo e nel contatto quotidiano con gli studenti detenuti. Il primo è rappresentato dalla ricerca di dare un senso a una esperienza difficile e particolare nel proprio percorso esistenziale come quella del carcere. Nello studio molti trovano una opportunità di riflessione sia sulla propria vita e sugli errori commessi, sia sul mondo e sulla società. E che questo sia importante è testimoniato dalla dedizione con cui gli studenti detenuti affrontano il percorso di studi.

L’impegno dell’Università va in questa direzione, anche se a fianco di esperienze come questa, che quel principio tendono a perseguire, permane la situazione della maggioranza dei detenuti che vivono l’esperienza del carcere nel vuoto di opportunità, impegni, stimoli. Situazione sulla quale la comunità universitaria tutta dovrebbe impegnarsi a riflettere, perché essa non può cambiare se non cambia la cultura della pena. Che non può essere solo afflittiva o, peggio, connotata in senso «retributivo», ma deve essere dotata di significati e rispettosa della dignità e dei diritti delle persone. Da questo punto di vista, oggi più che mai, l’incontro tra università e carcere deve avere anche questo significato.

 

FRANCO PRINA Ordinario di Sociologia della devianza e mutamento sociale Università degli Studi di Torino

SIMONE VACCA D’AVINO Laurea Magistrale in Costruzione e Città Politecnico di Torino.

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